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Una sorta di Charlot disorientato, dai baffetti sottili, dagli sproporzionati abiti maschili e dall’incedere fantozziano, interpretato da una Serena Balivo in stato di grazia; l’intercalare, sul palco e fuori campo, di una coscienza in abito bituminoso, centellinata da un Dammacco versione cammeo: protagonista di “Esilio” è un uomo contemporaneo alle prese con le proprie fragilità. Pochi preamboli, nessun dilungarsi in descrizioni inutili. Entriamo subito in una dimensione spersonalizzante. Abbiamo davanti un individuo qualunque, senza nome né età. Dentro l’uomo, una quieta disperazione. Tutt’intorno, un alone di solitudine.Si viaggia fuori del tempo. Si annaspa nel buio, cercando una via d’uscita. Chi ci parla è all’inizio di un crinale inesorabile, avviato dalla perdita del lavoro. Seguono una forte crisi d’identità, la perdita delle relazioni e del prestigio sociale, la dissoluzione dell’autostima. Si tratta di un intreccio di sentimenti e sfumature dell’anima: tristezza, dissimulazione, incredulità, sgomento, ansia, rabbia, paura
Vincenzo Sardelli
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